
Dal Libro di Antonio Mencarelli
“Un paese un mestiere Costano e i Porchettai” riportiamo questo testo: Costano ha voluto rendere omaggio alla tradizione dei suoi porchettai dedicandole una mostra storico-documentaria, dove un interessante materiale archivistico, belle immagini fotografiche d’epoca e vari filmati sulla lavorazione della porchetta, rievocano un pezzo di storia della cultura materiale d’un tempo che meritava di non andare dimenticato. La lavorazione della porchetta fiorisce a Costano da tempo immemorabile e quello del porchettaio è un mestiere antico, tramandato di padre in figlio. Da lontanissime generazioni le famiglie dei Mencarelli, Polinori, Giuliani, Caccinelli, hanno esercitato con maestria questa attività che ha dato al piccolo borgo di Costano larga e riconosciuta fama. Le fasi di preparazione della porchetta erano scandite secondo un preciso rituale, per ottenere un prodotto con cui eccellere nelle feste paesane e nei mercati di tutta l’Umbria.
Intrata delle porchette 1584 Podere di fra Gregorio Giomo de Lilloccio portò una porchetta che pesò libre sessantotto Podere di Campagna
Questa nota, che si legge nel registro n. 332, foglio 132, anno 1584, del Sacro Convento di Assisi, costituisce il più antico documento da noi conosciuto il quale attesta la lavorazione della porchetta a Costano. Un certo Giomo de Lilloccio di Costano, lavoratore del podere di fra’ Gregorio, rifornisce di porchetta i frati della basilica di S. Francesco. Il commercio di bestiame suino a Costano è sicuramente presente, sia pure in forma molto modesta, già dagli ultimi anni del Settecento. Nel censimento del 1860, il primo del neonato Regno d’Italia, risultano registrati come porcai Pietro, Enrico, David, Sabina e Luigi Caccinelli, Giulio e Feliciano Bianchini; come mercanti di maiali Emidio e Luigi Giuliani, Alessandro e Franco Brozzetti; come beccai (macellai) Angelo e Gregorio Frondini; come beccai e mercanti Giuseppe, Luigi, Francesco e Giacomo Polinori.
La confezione della porchetta sicuramente costituiva una integrazione originale delle citate attività, svolte da famiglie che erano le più antiche del paese e da cui usciranno nei secoli intere generazioni di porchettai. Dopo l’annessione al nuovo Regno le cose mutarono perché arrivarono all’improvviso le merci prodotte dalla valle padana, le quali provocarono una forte concorrenza togliendo spazio al mercato locale. Qualcuno allora pensò che occorreva cambiare sistema e iniziò a portare al nord quei suinetti il cui ingrasso non era più conveniente dalle nostre parti. L’allevamento dei suini riprese quota e i lattonzoli ed i magroni delle nostre campagne vennero spediti per ferrovia in varie province tra cui Mantova, Bergamo, Padova. Soggetti alla verificazione periodica dei pesi e delle misure erano, in base ad una legge emanata nel 1861 dal nuovo governo nazionale, varie specie di utenti, ripartiti da una tabella secondo le professioni, arti e mestieri. Tra le categorie obbligate agli accertamenti si comprendevano i venditori ambulanti, di cui i porchettai facevano parte.
Gli elenchi di questi utenti, che dovevano essere approvati dalla Giunta comunale, costituiscono una fonte molto utile, in grado di farci conoscere quali erano i costanesi che esercitavano l’attività di venditori ambulanti di porchetta già dal secolo passato. Inoltre, seguendo la paternità, è possibile avere conferma che quello del porchettaio a Costano era un mestiere che si tramandava di padre in figlio.
ANNI 1866-1869 – Venditori di porchetta ambulanti:ᅠFrondini Domenico di Angelo;ᅠFrondini Francesco di Angelo;ᅠFrondini Gregorio di Angelo;ᅠGiuliani Domenico fu Antonio;ᅠMencarelli Domenico di Angelo;ᅠPolinori Francesco di Pasquale;ᅠPolinori Giuseppe di Giacomo;ᅠPolinori Giuseppe di Luigi;ᅠPolinori Pasquale di Francesco;ᅠPolinori Rinaldo di Francesco;ᅠPolinori Giovanni di Luigi;ᅠPolinori Sante di Tommaso;ᅠZoppi Pietro fu Giacomo.
ANNI 1891-1892 – Porchettai ambulanti:ᅠCaccinelli Luigi di Pietro;ᅠFrondini Gregorio fu Angelo;ᅠFrondini Francesco fu Angelo;ᅠFrondini Sigismondo fu Domenico;ᅠGiuliani Francesco fu Domenico;ᅠGiuliani Gabriele fu Domenico;ᅠMencarelli Domenico fu Angelo;ᅠMencarelli Sante di Domenico;ᅠᅠPolinori Adamo di Rinaldo;ᅠPolinori Alessandro fu Tommaso;ᅠPolinori Custode di Sante;ᅠPolinori Eugenio fu Giuseppe;ᅠPolinori Federico fu Tommaso;ᅠPolinori Giovanni fu Luigi;ᅠPolinori Giuseppe fu Luigi;ᅠPolinori Pasquale di Francesco;ᅠPolinori Rinaldo di Francesco;ᅠPolinori Sante fu Tommaso;ᅠMencarelli Ernesto di Domenico (dal 1897-1898);ᅠPolinori Ottavio fu Giuseppe (dal 1897-1898).ᅠ
ANNI 1909-1910 – Porchettai ambulanti:ᅠCaccinelli Luigi fu Pietro;ᅠFrondini Gregorio fu Angelo;ᅠGiuliani Francesco fu Domenico;ᅠGiuliani Gabriele fu Domenico;ᅠMencarelli Ernesto fu Domenico;ᅠMencarelli Sante fu Domenico;ᅠPolinori Adamo fu Rinaldo;ᅠPolinori Eugenio fu Giuseppe;ᅠPolinori Giovanni fu Luigi;ᅠPolinori Ottavio fu Giuseppe;ᅠPolinori Settimio fu Giuseppe;ᅠPolinori Custode fu Sante;ᅠGiuliani Ferdinando (dal 1911-1912);ᅠMencarelli Fortunato di Giuseppe (dal 1915-1916).
ANNO 1929 -ᅠPorchettai ambulanti:ᅠCaccinelli Placido;ᅠGiuliani Alceste;ᅠGiuliani Francesco;ᅠGiuliani Fernando;ᅠMencarelli Ernesto;ᅠMencarelli Fortunato;ᅠMencarelli Getulio;ᅠMencarelli Orlando;ᅠMencarelli Candido;ᅠPolinori Eugenio;ᅠPolinori Bindo;ᅠPolinori Giuseppe;ᅠPolinori Ottavio;ᅠPolinori Romualdo.
I perugini sono stati sempre grandi consumatori di porchetta. Luigi Catanelli descrive così la presenza del porchettaio di Costano e della sua porchetta alla antica fiera di ferragosto a Monteluce nei primi anni del Novecento: “La porchetta è il simbolo gastronomico che eccelle nella secolare festività (…) II grasso, fuso con il magro, forma un insieme succulento e prelibato. Le interiora profumate, la carne tenera e leggera soddisfa qualsiasi palato esigente. La genuinità del condimento, il metodo di cottura offrono un alimento che non gonfia lo stomaco e non mette nell’imbarazzo l’intestino. Nulla viene sciupato. Anche le ossa, prima di farle leccare al cane, sono pulite di ogni briciolo di carne. Una fetta di porchetta condita con un p0′ di sale fino, in mezzo ad una pagnotta di pane fresco, costituisce un pasto uguale al migliore manicaretto. Il porchettaro infila il coltello, lungo e appuntito, nella cotica rosolita, che fa scricchiolare e taglia la fetta di carne. Con occhio scaltro pone la porchetta in un foglio grande di carta gialla, ci aggiunge un pizzico di interiora e svelto pesa la cartata nella bilancia romana. Il peso non corrisponde mai.
La confusione, gli schiamazzi, il pigia pigia, sconsigliano al compratore di contestare il peso al venditore, già indaffarato a “buggerare” un altro cliente”. Anticamente la macellazione e la preparazione dei suini per la porchetta avveniva nei cortili, nei piazzali all’aperto, nei pianoterra delle abitazioni, dovunque fosse possibile avere a disposizione acqua in abbondanza. L’esigenza di disporre di un locale idoneo e igienico divenne a Costano particolarmente sentita verso la fine dell’Ottocento, quando l’attività dei porchettai si fece più intensa. Visto l’immobilismo delle autorità municipali, nel 1891 il muratore Alessandro Lunghi inoltrò una istanza al Sindaco perché gli fosse concesso di costruire a sue spese un mattatoio da mettere poi a disposizione degli utenti della frazione, a patto che venisse riservata a lui medesimo la gestione. L’area necessaria per la costruzione doveva essere acquistata dal comune e il Lunghi si obbligava a cedere al municipio, in qualsiasi momento e dietro perizia, il mattatoio che si sarebbe realizzato. ᅠ
Nel 1910 il problema del mattatoio riemerse in tutta la sua urgenza. Motivi igienici imponevano di trovare una soluzione adeguata, poiché ormai erano oltre seicento i suini che si macellavano in un anno a Costano, sede dei porchettai. Consapevole di ciò l’amministrazione comunale diede incarico all’ing. Edoardo Vignaroli di Perugia di predisporre un progetto per la costruzione di un piccolo mattatoio da situare in un angolo dell’abitato distante 50 m dall’ultima casa ed a valle della strada che conduceva alla villa Gigliarelli. Erano previsti, oltre ad un locale di 50 mq ben arcato per la mattazione, quattro stalle di sosta, magazzini, attrezzature come caldaia di rame, tavoli in pietra, acqua e tutti gli utensili necessari per un funzionale macello. Il progetto fu approvato nella seduta del 25/10/1910. Ma il cammino della pratica fu soggetto a forti ostacoli e la sua realizzazione, forse per problemi finanziari, non andò mai in porto, malgrado si fosse deliberato di acquistare i 300 mq di terreno necessari dal dott. Corazzo Sbaraglini di Assisi. Nel 1919 il Consiglio comunale di Bastia lamentava che la costruzione del mattatoio di Costano, a nove anni dalla sua approvazione, non era ancora neanche iniziata.
Nel 1923 l’aspirazione dei costanesi di avere un pubblico mattatoio venne finalmente esaudita. Questa volta fu il commissario prefettizio dott. Gino Doneddu, in quell’anno alla guida del comune di Bastia, a prendere in mano con determinazione il problema. I tempi erano ormai più che maturi per una realizzazione che tutti volevano e che egli stesso riteneva assolutamente prioritaria, sia perché il numero delle macellazioni andava continuamente aumentando, sia perché, pensava, la storica tradizione dei porchettai di Costano meritava anche un pubblico riconoscimento e un concreto sostegno. Il commissario ruppe pertanto ogni indugio e, abbandonato il precedente disegno, approvò con la massima urgenza un nuovo progetto, che aveva fatto preparare dall’ing. Leopoldo Lolli di Bastia.
Furono utilizzate le somme iscritte a bilancio (L. 20.000) e, una volta espletata la gara di appalto, i lavori ebbero immediato inizio. La costruzione, che insisteva su terreno di proprietà Gigliarelli, fu realizzata nel giro di un anno e il mattatoio venne aperto agli utenti lunedì 2 marzo 1924 tra la soddisfazione dei porchettai e dei cittadini del paese. Guido Piovene, lo scrittore che a metà degli anni Cinquanta con il suo libro Viaggio in Italia realizzò il primo reportage giornalistico percorrendo i paesi della più profonda provincia italiana, visitò il mercato coperto di Perugia. Qui parlò con il porchettaio di Costano, che nello spazio a lui riservato attendeva alla vendita del suo prodotto. Queste le impressioni che riportò: “Spesso il palato è un mezzo per comprendere il paese che si attraversa.
La cucina umbra, ch’io sappia, non ha inventato piatti suoi, ma è delicata, civile, leggera, condita di un olio etereo e poco propensa alle carni forti. Unica eccezione è la porchetta. Cucinata allo spiedo o al forno, farcita con le sue interiora e con erbe aromatiche, per esempio il finocchio selvaggio colto nelle selve, la porchetta umbra è la migliore d’Italia; porta nei suoi aromi la fantasia dei bei boschi appenninici, con i castagni, le querce, le acque correnti, le ginestre primaverili. La mangiano i contadini nelle sagre d’estate, con il melone e il vino bianco; nei mercati la si vende a fette tra le pentole, gli stivali e gli abiti di cotonina. Quello del porchettaro, cucinatore di porchette, è un mestiere a sé, residuo d’altri tempi come il pifferaio abruzzese”.