Le tradizioni

II paese, memore dell’eredità dei padri, è geloso custode delle proprie tradizioni che costituiscono, per la sua gente, i momenti di più intensa aggregazione e che trovano, nello zelo dei contemporanei, il motivo per rivitalizzarsi ed arricchirsi. Ciò può apparire strano ed un pò controcorrente, in un mondo in cui i valori ideali naufragano fatalmente tra il consumismo ed il disimpegno.ᅠSfogliando il calendarioᅠdelle manifestazioni che animano il paese nel corso dell’anno, subito balza all’occhio la varietà e la moltiplicità delle iniziative tradizionali. Sono tante le ragioni per far festa ed ogni evento è per la comunità locale l’occasione attesa per confermare identità e radici. Non solo di rievocazioni si tratta, bensì di eventi dove la passione ed il coinvolgimento collettivi restituiscono autentica vitalità ad antichissime devozioni cristiane, o a cerimonie propiziatorie del mondo contadino.ᅠIl tessuto della spiritualità Costanese ha nel Santissimo Crocifisso il suo cuore, ma la trama è vasta e antichissima si iniziaᅠcon la ricorrenza di S. Croce, una festa che liturgicamente si svolge nella prima domenica di maggio, con la quale si intende venerare il famoso Crocifisso, un affresco di fine ‘400 della scuola di Niccolo Alunno.

L’affresco è custodito nell’omonima cappella all’interno del castello e da il nome ad una numerosa confraternita che, insieme al parroco, gestisce la festa che ha il suo momento saliente nella processione per le vie del paese. In questa occasione era abitudine in casi gravi, ed in parte dura tuttora, di “scoprire il Crocifisso”, in pratica togliere la tela che lo protegge e svolgere speciali devozioni per la salute dei malati. Sembra che tale celebrazione sia nata per emulare quanto faceva Bastia dove, fin dal 1293, era sorta una chiesa detta appunto di S. Croce e se ne solennizzava annualmente la ricorrenza.ᅠFesta molto importante è la solennità del Corpus Domini che chiude il ciclo delle feste del dopo Pasqua e vuole celebrare il mistero dell’Eucaristia. La data della sua celebrazione è fissata nel giovedì seguente la prima domenica dopo la Pentecoste. Adesso il rito viene celebrato la Domenica successiva. In occasione della festa del Corpus Domini, un Ostia consacrata, racchiusa in un Ostensorio, è portata solennemente in processione ed esposta al pubblico per l’adorazione. Le vie del paese, sono ricoperte da un tappeto fatto di petali di fiori, con disegni geometrici, simboli e scene di carattere sacro.

La raccolta dei fiori, come la preparazione dei disegni, avviene al massimo due o tre giorni prima della festa, e per le qualità più delicate la raccolta avviene alle prime luci dell’alba dello stesso giorno per mantenere inalterati i colori e la fragranza dei fiori. Altre ricorrenze celebrate sono quelle di S. Antonio Abate (17 gennaio) e S. Antonio da Padova (13 giugno). Nel primo caso, si fa la processione con la statua del Santo, una scultura in legno del secolo XVI. Nel secondo caso (S. Antonio da Padova) oltre alle messe e processione, si tiene la benedizione degli animali. In entrambi i casi, è la confraternita omonima che anima le celebrazioni. La spiritualità che ha radici profonde nel sentimento dei costanesi, trova la sua più forte e nobile espressione nelle rievocazioni pasquali, la cosiddetta Settimana Santa che inizia il giovedì con la rievocazione della “lavanda dei piedi”, prosegue il venerdì con la “Processione del Cristo Morto”, e termina nella Domenica di Pasqua con la “Resurrezione” raffigurata dalla cosiddetta “Rinchinata” con le statue del Salvatore e della Madonna. Fra tutte le celebrazioni religiose è senz’altro uno dei riti di più antica tradizione cui partecipa, praticamente l’intero paese.

Tutto ha inizio di buon mattino quando i Confratelli del S.S. Sacramento si riuniscono a mezzogiorno per pagare il “trentesimo”, versare cioè un piccolo obolo e consumare il rituale piatto del Venerdì Santo. Il menù è lo stesso da sempre finocchio al pinzimonio, fagioli e baccalà così da rispettare anche la vigilia dall’astenersi della carne. Alle ore 13 nella Chiesa del paese, appositamente allestita con il “Calvario”, si celebrano le “tre ore di agonia di nostro Signore Gesù Cristo”. Nella tarda serata, dalla Chiesa il feretro di Gesù Cristo, adagiato su di un tipico carro coperto, chiamato “catafalco”, viene portato in processione, seguito dalla statua della Madonna e dai simboli della passione portati dai bambini. Per l’occasione tutto il percorso della processione viene illuminato da fiaccole e viene rievocata la passione con la raffigurazione delle stazioni da parte dei ragazzi del paese.

Della processione fanno parte integrante le musiche (rigorosamente sempre le stesse da tempo immemorabile) suonate dalla Banda cittadina. Altro momento di partecipazione collettiva per le cinque confraternite del paese – Crocifìsso, S. Antonio, Sacramento ed altre due femminili Madre Cristiane e Figlie di Maria – è offerto dal trasferimento, in processione a S. Maria degli Angeli nel giorno dell’Ottavario di Pasqua in segno di devozione alla Madonna degli Angeli. Molto nota, soprattutto nelle campagne del centro Italia è la simpatica tradizione di accendere i “focaracci” a ricordo dell’arrivo della Santa Casa nel territorio di Loreto nella notte tra il 9 e il 10 dicembre 1294. La rievocazione della “Venuta” è molto sentita in paese, la tradizione vuole che a mezzanotte si celebri appunto il passaggio a Costano della Santa Casa trascinata dagli Angeli diretta a Loreto, rigorosamente annunciato dal suono delle campane e da spari di fucile e di carburo. La gente si mobilita per accendere il “focaraccio” con un grosso “ceppo” (tagliato lungo le sponde del fiume Chiascio) che arde per tutta la notte nella piazza del paese dove i partecipanti aspettano davanti al fuoco degustando vino novello e produzioni gastronomiche locali tra le quali torta al testo e baccalà cotto sopra la brace.

FESTA DI SANTA CROCE

Una tradizione da non dimenticare. Tra i tratti caratteristici che da sempre hanno contraddistinto la parrocchia di Costano, c’è senz’altro quello di avere sempre rispettato in maniera forte la tradizione popolare delle ricorrenze religiose. La loro particolarità era rappresentata dalla partecipazione della gente ai preparativi, che talvolta impegnavano così tanto i costanesi da trasformare il volto del paese, come per esempio avveniva in occasione del Corpus Domini quando le vie venivano addobbate con festoni di bossolo, infiorate ed altarini pronti ad accogliere il passaggio della processione. Durante tutto l’anno era un continuo susseguirsi di appuntamenti tra i quali i costanesi hanno sempre preparato con particolare devozione quello del 3 maggio, giorno di Santa Croce.

Si tratta senz’altro della solennità più sentita, quella che veniva attesa per un anno intero e per la quale, i preparativi prima e i festeggiamenti poi avvenivano in grande stile. Santa Croce significa innanzi tutto devozione al famoso Crocefisso, un affresco della fine del ‘400 attribuito alla scuola del pittore Niccolo di Liberatore detto l’Alunno, custodito nell’omonima cappella all’interno del castello. A differenza di oggi, un tempo l’immagine non era in vista perché coperta da una tela che veniva raccolta su un lato e lo “scopriva” solo su richiesta, in occasione purtroppo particolari quali potevano essere casi di gravi malattie che avevano colpito un familiare. In quelle circostanze, il parroco aiutandosi con una canna era solito passare sopra il dipinto un fazzoletto che poi avrebbe consegnato alla famiglia interessata in maniera assolutamente riservata. L’accesso rimaneva visibile alla visita dei fedeli anche in occasione del “triduo” che precedevano il 3 maggio giorno della festa. Un tempo le pareti della chiesina erano ricoperte da tantissimi “ex voto” portati di volta in volta in dono dai costanesi, sia nel caso di una grazia ricevuta, piuttosto che per la sopraggiunta necessità di affidare una persona cara che si trovasse in un momento di particolare difficoltà. Tra quelli rimasti più indelebili nella mente di tutti i paesani ci furono le foto che le mamme accorrevano ad appendere quando i figli tornavano indenni dalla guerra. Purtroppo tra questi figli ce ne furono alcuni che il paese non rivide mai, per questo mi piace ricordarli così come già prima di me ha avuto modo di scrivere Antonio Mencarelli, nel suo splendido libro dedicato alla “Storia della Parrocchia di Costano”.

Si chiamavano: Olimpio Falaschi, Duilio Lunghi, Guerriero Meschini, Enzo Cecchini, Dante Raspa, Alfredo Ceccucci, Alberto Polinori. Preghiere particolari venivano rivolte al Crocefisso affinchè proteggesse i campi con i relativi raccolti e per questo motivo il 28 aprile giorno di San Pietro Martire venivano benedetti dei ramoscelli di olivo, utilizzati pochi giorni dopo il 3 maggio per formare insieme a delle canne di bambù tipiche croci che venivano piantate a protezione dagli agenti atmosferici delle campagne circostanti e del paese, oltre che come buon auspicio per la mietitura che sarebbe avvenuta, naturalmente a mano, in giugno. Se la mattina del 3 maggio era dedicata con le messe e la processione all’aspetto religioso della giornata, il pranzo rappresentava in molte famiglie l’occasione per un momento di convivialità da passare insieme a tutti coloro, figli, figlie e parenti stretti che la vita aveva portato ad allontanarsi da casa.

A questa tradizione i nostri anziani tenevano in maniera speciale e anche in questo caso ritengo non sbagliassero, perché proprio in quei momenti ci trasmettevano uno dei loro valori di riferimento più forti: la famiglia. Immancabile alla fine del pranzo entrava in scena il “torcolo” preferibilmente accompagnato da un bel goccetto di “vermute”. II pomeriggio nella piazza del paese l’attenzione era tutta dedicata ai giochi “il tiro della fune” – “la corsa col sacco” – “il tiro alla brocca” – “l’albero della cuccagna”, per poi assistere al concerto della banda musicale che per l’occasione si presentava in pompa magna. Al sopraggiungere della sera infine, quando la festa andava via via spegnendosi restava ad illuminare la piazza la luce che fuoriusciva dall’interno della chiesina del Crocefisso quasi a voler aiutare le persone, parecchie anche di fuori paese, in coda ad aspettare il proprio turno per recitare l’ultima preghiera. Spesso anche io mi sono ritrovato in mezzo a quelle persone attratto dalla forza che sprigiona questo nostro magnifico tesoro quando gli arrivi vicino. Un’emozione che ciascun costanese custodisce gelosamente nel proprio cuore e che per quanto mi riguarda ha contribuito ad accrescere in me la vicinanza a mio suocero Guglielmo Meschini, uno di quelli che alla festa di Santa Croce teneva in maniera assolutamente speciale, al pari di tante altre persone che purtroppo non ci sono più e delle quali ricordo la luce degli occhi che li caratterizzava quando parlavano entusiasti di quella che per loro era la festa più bella di tutte.

di Augusto Lunghi

LA VENUTA

Costano festeggia La Venuta della Madonna, è nota la simpatica tradizione di accendere i “focaracci” la sera inoltrata del 9 dicembre nelle campagne del Centro Italia, a ricordo dell’arrivo a Loreto della S. Casa di Nazareth, dove avvenne l’Annunciazione alla Vergine Maria. Che con molta probabilità, venne portata, via mare dai crociati; tuttavia, secondo la tradizione, essa si posò sul colle lauretano, traslata dagli angeli, il 10 dicembre.ᅠ Anche nel suggestivo paese di Costano, la notte del 9 dicembre si festeggia “La Venuta”, accendendo un grande falò, in segno di fede nei confronti della Vergine e per “far luce” agli angeli in volo dall’oriente. Attorno ai falò, si recitano le “laude” (litanie lauretane).

Questa è una manifestazione che rappresenta da anni una tradizione imprescindibile dell’intera comunità. L’evento, tanto atteso è la rievocazione appunto del passaggio della Santa Casa diretta a Loreto e trascinata dagli Angeli, ne testimonia la centenaria tradizione un dipinto all’interno della Chiesa parrocchiale. E’ una ricorrenza religiosa che tutti coloro che assistono aspettano davanti al fuoco degustando vino ed olio nuovo ed altre produzioni gastronomiche locali quali torta al testo con salsicce e baccalà cotto sopra la brace del grande falò. Ma l’attesa più importante è l’inequivocabile suono delle campane che per 20 minuti dopo la mezzanotte annunciano il sacro passaggio. In passato, le campane dell’antico campanile medioevale del paese venivano suonate rigorosamente a mano ed ininterrottamente per un’ora intera dalla mezzanotte all’una. Si disponeva di alcuni fucili da caccia che sparavano dei colpi in aria, in segno di festa.

Oggi tutto questo non è più possibile, le campane sono elettriche ed i fucili vengono ben custoditi all’interno delle abitazioni se non si vuole incorrere in qualche grave sanzione. Ma fortunatamente è rimasta inalterata nel tempo la tradizione degli spari con il carburo. Prima della mezzanotte nel paese rimbombano i fortissimi botti provocati da questo materiale che sfrutta lo sviluppo di Acetilene generato bagnando il Carburo di Calcio una sostanza solida, con odore caratteristico, suscettibile di reagire rapidamente con l’acqua dando luogo alla produzione appunto di gas acetilene che infiammato all’interno di fusti di lamiera provoca in base alla quantità di gas delle fortissime defraglazioni. Una tradizione sicuramente singolare che ogni anno, a Costano oltre agli abitanti del luogo, richiama anche molti affezionati dei paesi limitrofi, e tutti insieme si mobilitano per accendere il “Focaraccio della Venuta”. I convenuti, oltre alla possibilità di mangiare le pietanze della tradizione partecipano alle celebrazioni della “funzione religiosa della venuta” all’interno della chiesa parrocchiale.